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Atletica in lutto: addio a Giorgio Lo Giudice

Cronista, professore di educazione fisica, istruttore, organizzatore: a 88 anni è scomparso il giornalista romano, storica firma dell’atletica e dello sport italiano. Minuto di silenzio al Golden Gala

Succede, perché deve succedere. Eppure quando se ne va uno come Giorgio Lo Giudice, amico e collega da una vita, si rimane sconvolti, ammutoliti per il dolore, affranti per quello che ha perso il giornalismo e lo sport italiano e anche un po’ interdetti. Il destino ha voluto che Giorgio Lo Giudice ci lasciasse a 88 anni proprio alla vigilia di un Golden Gala, l’appuntamento che lui tanto amava e a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo, ma noi sugli spalti dell’Olimpico sentiremo ancora la sua presenza perché in qualche modo ci eravamo messi in testa, io per primo, che alla soglia dei novant’anni questo cantore dello sport fosse destinato a diventare eterno. Indistruttibile e sempre lucido a commentare le varie epoche dello sport italiano. Giornalista per l’eternità.

Sapevamo che Lo Giudice era ricoverato per una rottura del femore che poteva sembrare una banalità per un uomo della sua tempra fisica e un paio di settimane fa lui stesso si era offerto di scrivere un pezzo per la rivista Atletica. “Scrivere mi fa sentire vivo” diceva e così si era preparato a intervistare Alice Mangione, una delle atlete del momento di cui, sia pure con voce rotta dalla fatica per la degenza ospedaliera, si era messo a sciorinare imprese e primati. A parte l’energia e il grande cuore (quello di cui parleranno nei prossimi giorni tutti i commentatori di questo terribile lutto), che lo avevano fatto diventare il fratello maggiore di tanti giornalisti e sportivi italiani, le cose che colpivano di Giorgio erano anche la competenza tecnica e la lucidità con cui seguiva gli eventi. Inutile girarci attorno, anche agli ultimi Europei di Roma, seduto in ultima fila come testimone oculare e cronista dalle qualificazioni del mattino alle finali della sera, dava punti a tutti: vedeva a occhio nudo particolari dei lanci o dei salti solo apparentemente secondari, riconosceva tutti gli atleti (“è il fratello, non quello bravo”) e valutava le prestazioni senza ricorrere, come noi, alle graduatorie stagionali e all time.

Un fenomeno, segnatamente nell’atletica, ma praticamente in tutti gli sport senza distinzione di importanza, perché li amava tutti e li seguiva tutti. Sempre disponibile sia a scrivere su qualunque argomento (ma sempre con informazioni di prima mano e interviste fatte personalmente) sia a darti un passaggio perché era ‘di strada’ con la sua utilitaria, Giorgio era più di una istituzione nelle sue molte funzioni: giornalista, professore di educazione fisica, istruttore, organizzatore. Eppure quelle in cui riusciva meglio erano le mansioni più umane: marito, padre e amico di tutti. Possiamo aggiungere che la sua famiglia eravamo anche noi, i colleghi in generale, quelli della Gazzetta (“quelli buoni” aggiungeva) con cui aveva diviso una esistenza. Negli anni Ottanta, quando entrai in Gazzetta, Giorgio ovviamente era già lì dopo essersi barcamenato, chissà come, nella doppia attività di professore e giornalista, entrambi a tempo pieno. Inutile dire che l’atletica, che insegnava anche sul campo, lasciando una scia di allievi che lo veneravano come un guru, era il suo sport preferito ma rugby, pugilato e lo stesso calcio erano quasi alla pari.

Giorgio Lo Giudice romano fino al midollo (e non è il caso di aggiungere la fede calcistica) era nato nella capitale il 5 novembre 1936 e aveva tagliato in forma smagliante il traguardo degli 88 anni. Non per niente in uno dei nostri ultimi incontri, alla Corsa di Miguel, aveva ricordato di detenere ancora il record Gazzetta della maratona in 3h23’. Uno dei suoi pochi vanti come atleta in proprio, visto che si esaltava di più per i successi ottenuti come allenatore. Era stato infatti Insegnante di Educazione Fisica come diplomato ISEF e aveva praticato l’atletica da giovane grazie allo sport nella scuola fino a diventare tecnico e a chiudere la parentesi agonistica dopo il servizio militare come ufficiale dei bersaglieri. Attualmente era presidente del Club Atletico Centrale.

Nel 1961 aveva iniziato a collaborare con il giornale Il Paese e dal 1963 con la Gazzetta dello Sport diventando giornalista professionista nel 1982 con la Gazzetta che aveva lasciato nel 2003. Come inviato aveva seguito cinque Olimpiadi, ma era rimasto affezionato ovviamente più di tutte a quelle romane del ’60, di cui era diventato una enciclopedia vivente: quando non si trovavano dati sui libri bastava accendere il jukebox per avere non solo la testimonianza diretta dell’evento (da Bikila a Berruti), ma anche il risvolto umano. Fra le sue pubblicazioni si ricorda appunto quella dedicata al maratoneta scalzo insieme a Valerio Piccioni, ma la sua produzione, sia come libri sia come riviste periodiche, riempirebbe una biblioteca.

È un modo di dire ma in questo caso bisogna ricorrere a una banalità: lo sport e il giornalismo non saranno più gli stessi senza l’amico Giò.

Fausto Narducci

Alla famiglia vanno le più sentite condoglianze del presidente della FIDAL Stefano Mei, profondamente colpito dalla notizia, del Consiglio federale e di tutta l’atletica italiana. Il Golden Gala Pietro Mennea ricorderà Giorgio Lo Giudice con un minuto di silenzio durante la serata di venerdì 6 giugno.

I funerali si terranno sabato 7 giugno alle 9.30 nella chiesa di San Giuseppe Cottolengo in via Bonaccorsi 23 a Roma.

04.06.2025 www.fidal.it

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