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Il drop nelle scarpe da running

Meglio alto o basso?

Per drop nelle scarpe da running (e non solo) si intende il dislivello tra la parte posteriore e quella anteriore della calzatura. Annosa questione quella del differenziale antero-posteriore (drop) delle scarpe da corsa, dove il fattore moda talvolta prevarica quello tecnico. Ecco il punto della situazione curato dal nostro esperto Luca De Ponti, con gli elementi utili al momento della scelta.

Se voglio correre alla massima velocità, utilizzando tutte le capacità elastiche di tendini e muscoli posso azzerare il drop. Avete mai visto correre un velocista con una calzatura rialzata posteriormente? Mai! Anzi, è vero il contrario: ci sono calzature chiodate con un drop negativo. In questo modo le caratteristiche elastiche dei tessuti possono essere esaltate ai livelli massimi.

Stress muscolare eccentrico

Cosa comporta tutto questo? Comporta uno stress muscolare eccentrico notevole, l’impossibilità a produrlo per tempi lunghi, un notevole impegno in allungamento del tendine di Achille e la partecipazione attiva al gesto motorio dei muscoli deputati a stabilizzare l’appoggio del piede come tibiali e peronei. Possiamo dire che aumentiamo la cilindrata del motore con un grande impegno muscolo tendineo, che comporta altresì usura e stress.

Nell’impegno prolungato

Se al contrario alziamo il drop, diminuiamo la cilindrata del motore, ma lo possiamo così utilizzare a un regime che può essere mantenuto a lungo come nelle gare sulle lunghe distanze. Il tendine di Achille viene a essere stirato di meno e il lavoro muscolare del tricipite rimane costante, alimentato da una quota sostenibile di consumo d’ossigeno.

Ecco quindi un primo criterio di scelta: il drop basso (6 mm o meno) genera una condizione di corsa che può essere sostenuta nelle distanze brevi, mentre nelle lunghe distanze, al contrario, andrebbe a esaurirsi molto precocemente l’energia disponibile con un inevitabile calo della prestazione.

Allo stesso tempo, nei casi nei quali le qualità atletiche consentano ritmi veloci prolungati nel tempo, un drop basso aiuterà la performance a patto che tale lavoro muscolo-tendineo e relativa velocità di crociera siano sostenibili per l’intero percorso.

La variabile “velocità”

In sintesi: non ha senso correre a 5’/km con un drop basso mentre è indispensabile o quanto meno utile un drop basso per correre a 3’/km. Utilizzare un drop basso per tratti brevi a scopo allenante ha più senso e così fanno anche i top runner in alternativa all’utilizzo di scarpe chiodate in pista, che possono provocare micro-traumatismi.

In caso di trail running

Capitolo a parte riguarda la strategia della corsa tipica delle prove di trail running, dove salita e discesa potrebbero giustificare una riduzione del drop con un’intersuola comunque alta, ma anche queste particolari condizioni, quando non costituiscono uno standard di allenamento, giustificano solo in parte un abbassamento estremo.

La portanza dell’intersuola

Altra considerazione riguarda la portanza dell’intersuola, ovvero la spinta verso l’alto che riceve il piede al momento dell’impatto, in virtù della risposta elastica dell’intersuola stessa. Più aumenta la portanza, maggiore risulta l’esaltazione delle caratteristiche elastiche dell’uomo. Energia, quella elastica, a basso costo energetico: una prerogativa soprattutto del giovane atleta.

LUCA DE PONTI

www.correre.it

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